L'arte del calcio sovietico by Carles Viñas

L'arte del calcio sovietico by Carles Viñas

autore:Carles Viñas [Viñas, Carles]
La lingua: ita
Format: epub
editore: il Saggiatore
pubblicato: 2023-04-12T22:00:00+00:00


14. Igienisti e proletkultisti.

La realizzazione di un modello sportivo

In piena applicazione della Nep si riorganizzarono le strutture sportive del paese. Fu un periodo contrassegnato dall’acceso dibattito tra il Komsomol, i sindacati, gli igienisti e i sostenitori del Proletkul’t, caratterizzato anche dai tentativi di stabilire contatti sportivi in ambito internazionale. Gli igienisti, di fatto, furono molto critici riguardo alla militarizzazione dello sport, ritenuta eccessiva, e anche nei confronti dell’enfasi posta sui risvolti competitivi, considerati pregiudizievoli per la salute, sia fisica che mentale.

Il Consiglio supremo di cultura fisica (Vsfk) sostituì lo Vsevobuč come massimo organo dello sport sovietico. Creato agli inizi degli anni venti dal Servizio generale d’istruzione militare, responsabile dell’educazione fisica nel paese dopo la Rivoluzione d’Ottobre, fu incaricato di porre le basi del nuovo sport sovietico. I club di calcio, per esempio, vennero organizzati a partire dal cosiddetto Principio di produzione territoriale, volto a limitare l’emergente professionalismo, identificato con il capitalismo.1 Il nuovo ente obbligava i membri delle squadre a essere tutti originari di uno stesso distretto o di una stessa fabbrica, per evitare in questo modo le cessioni o gli acquisti. A partire dall’aprile del 1923, un mese dopo la celebrazione del Dodicesimo congresso del Partito comunista di Russia, si stabilì anche che le squadre dissolte fossero rifondate con nuovi nomi. Dietro questa decisione c’era la volontà del Partito di intensificare gradualmente il controllo dello sport e ridurre l’autonomia delle società sportive per mezzo dei sindacati e del Komsomol,2 che fungevano da cinghia di trasmissione nei confronti, rispettivamente, della classe operaia e della gioventù.3

Sullo sfondo di tutto ciò si agitava l’acceso dibattito mantenuto negli anni venti dagli igienisti, seguaci delle teorie di Lesgaft, con i sostenitori delle tesi diffuse dal Proletkul’t. I primi avevano una visione dello sport più vicina alla realtà del xix secolo, mentre i secondi volevano promuovere una nuova cultura fisica proletaria.

Uno dei punti di maggiore disaccordo tra le due correnti era quello relativo alle competizioni. Gli igienisti ammettevano l’utilità di alcuni «sport borghesi», secondo il vocabolario dell’epoca.4 Invece, i proletkultisti erano tassativi nel negare qualsiasi concessione al riguardo. Per loro, la competitività – la «campiomania» – era un valore estraneo al socialismo. Per questo, oltre a censurare la pratica di determinate discipline sportive (boxe, sollevamento pesi, ginnastica), ritenute alla stregua di «attività individuali irrazionali e pericolose», più adatte al capitalismo poiché privilegiavano la rivalità rispetto alla salute e ai valori della cultura fisica, proposero un modello alternativo. Oltre alle dimostrazioni di massa, organizzate con l’obiettivo di rendere visibile la disciplina armonica della società sovietica – basata in parte sul modello ginnico del Sokol –, idearono anche nuovi giochi con titoli ideologicamente suggestivi, come «Riscatto dei fascisti», «Agitatori» o «Aiutante dei proletari».

La pressione esercitata dagli igienisti fece sì che, nella prima metà degli anni venti, le autorità del paese accettassero di ridurre il numero delle competizioni e di escludere alcune discipline sportive. Pertanto, si imposero gli argomenti medici e la cosiddetta «ginnastica del lavoro», circoscritti unicamente alla salute e all’igiene, mentre si accantonavano le competizioni e la componente educativa e ricreativa dello sport.



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